FIDUCIA: L’ INIZIO DI UNA RELAZIONE CHE CURA
Fiducia: l’inizio di una relazione che cura
“In principio è la relazione”
(Martin Buber)
Ringrazio l’Associazione per l’opportunità di poter scrivere a riguardo del tema della Fiducia all’interno del lavoro psicologico. Ho accolto con piacere questa richiesta perché credo che la fiducia rappresenti l’atteggiamento interiore che sta alla base dell’inizio di una qualsiasi relazione, specie se di carattere terapeutico. In questo caso, la fiducia è sicuramente uno dei punti di partenza per l’instaurarsi di una “buona alleanza di lavoro” tra paziente, familiari e curanti. Fattore capace di trasformare realmente la relazione d’aiuto in una relazione di cura, di effettivo sostegno nel momento critico correlato alla diagnosi e all’inizio delle terapie.
Il tema, per altro, mi riguarda in prima persona in quanto riconosco la fiducia che è stata riposta in me dall’Associazione Luce e Vita nel momento in cui mi è stato chiesto di sostituire la Dott.ssa Katia Amodio durante il suo periodo di maternità. Da luglio 2021, infatti, mi occupo di sostenere psicologicamente i famigliari dei pazienti della clinica Ematologica Adulti dell’Ospedale San Gerardo ASST Monza e questa esperienza mi sta permettendo di cogliere la centralità stessa del tema.
Mi risulta sempre più evidente quanto la fiducia rappresenti l’elemento basilare di ogni incontro psicologico, al fine di costruire una solida matrice di accoglimento, ascolto e di rielaborazione dei vissuti provati dai familiari durante l’esperienza traumatica della malattia dei loro cari. Il tema stesso della fiducia risuona con quanto compiuto da ciascuno di loro nell’atto di dover delegare la cura sanitaria dei propri cari all’équipe onco-ematologica (aspetto maggiormente presente nei colloqui con famigliari di pazienti seguiti in regime di ricovero ospedaliero, in Centro Trapianti o in Reparto).
La fiducia nei curanti è dunque il primo passo da compiere verso la guarigione, base sicura per ogni percorso di cura.
Il bisogno di affidarsi può presentarsi in molte fasi della vita di ognuno, specialmente quando non ci si sente in grado di affrontare da soli la moltitudine di sfide che la vita presenta. La fiducia verso l’Altro è un sistema che fa parte della natura umana, poiché necessario alla sopravvivenza ed ha origini molto antiche. Alla nascita ogni neonato si trova immerso in una realtà molto complessa che non è in grado di decodificare da solo. Nasce, così, il bisogno di affidarsi ai propri simili e, conseguentemente, nasce la capacità di fidarsi dell’Altro.
Tutto ciò riaccade durante una prima esperienza di presa in carico onco-ematologica. La comunicazione di diagnosi, e la conseguente attivazione di protocolli terapeutici, apre un mondo nuovo, spesso traumatizzante o angosciante, in cui, sia nel ruolo di paziente che in quello di familiare, ci si ritrova spesso sprovvisti di esperienze precedenti, punti di riferimento e conoscenze adattive. Ci si sente spaesati, spesso spaventati, con la conseguente necessità di doversi necessariamente affidare all’equipe multidisciplinare, così che si possano attivare tutta una serie di risposte o servizi volti alla presa in carico di ciascun bisogno di cura (sanitario, psicologico, sociale, fisioterapico, etc.). L’esperienza di poter essere compresi e ben curati genera poi un senso di sicurezza e fiducia per il proseguo delle cure, la possibilità di intravvedere il superamento del trauma e di poter fare rientro nel proprio stile sano e routinario di vita.
Questo è quanto accade anche all’interno della relazione psicologica supportiva tra paziente/familiare e psicologo. Allo stesso modo, infatti, la presa in carico psicologica fornisce via via “un luogo e un tempo sicuri” in cui il paziente e i suoi familiari possano sentirsi sostenuti nell’attraversare i cambiamenti che avvengono durante le diverse fasi della terapia (inizio cure; possibili ricoveri in reparto o in CTA; ripresa psicofisica a fine terapia; gradualità di reinserimento dentro stili di vita liberi da impegni sanitari; etc.).
In questi mesi ho avuto la possibilità di incontrare molte persone, diverse tra di loro, ma accumunate dal bisogno di cercare un proprio spazio di rielaborazione e confronto con se stessi.
Utilizzo volutamente la parola “incontro”, poiché è proprio dall’unione delle nostre reciproche disponibilità che prende vita e si co-costruisce quel profondo senso di fiducia che risulta poi necessario per lavorare insieme. Guardare insieme le cose che fanno male ed anche quelle che possono contribuire alla ricerca del bene, dando voce ai bisogni, alle paure ma anche riconoscendo le risorse interne ed esterne a se stessi, tutto ciò che può aiutare a riequilibrare, donare vigore, forza, coraggio, senso di direzione. Sempre più mi accorgo, quanto l’empatia, accompagnata da specifiche competenze tecniche e professionali, aiuti a comprendere il mondo di affetti, sentimenti, speranze, paure e sogni che ciascuno trattiene dentro di sé. Quell’incontro sicuro ed autentico tra paziente/familiare e psicologo, dove la professionalità di quest’ultimo deve proiettarsi nel saper ascoltare, accogliere e sintonizzarsi con quanto l’altro dice e non dice, con quanto esprime con le parole e quanto trasmette con le azioni, con i propri comportamenti o attraverso le proprie rinunce, assenze, silenzi ed omissioni.
Spesso il dolore necessita infatti di strade alternative, parole che non si sanno pronunciare o che non trovano suoni, significati convenzionali, codici per spiegare ciò che il proprio cuore con coraggio regge dentro di sé. La fiducia è dunque nutritiva e basilare. Permette quel contatto profondo, all’interno del quale, viene favorita l’espressione delle proprie emozioni, in un’atmosfera di sostegno dove è presente un genuino e vivo interesse per l’esperienza attraversata. Con un comune obiettivo, quello di poter raggiungere gradualmente un maggiore benessere intrapsichico ed interpersonale, risanando le proprie ferite ed acquisendo consapevolezza di sé, dei propri cambiamenti, di quanto si sia stati capaci di rafforzarsi dentro una delle esperienze di vita più provanti, per sé e per la propria famiglia. Ed è per questo che ho trovato opportuno iniziare “da qui”, dentro un ruolo professionale che crei complicità d’intenti e vicinanza, per il tempo che sarà necessario ed oltre, ciascuno dentro i propri ricordi, esperienze di cura anche emotiva, pensieri scoperti con fiducia, insieme, e che hanno aiutato reciprocamente a crescere.
Dott.ssa Martina Ladislao
Psicologa Psicoterapeuta Associazione Luce e Vita